lunedì 8 aprile 2013

Forme e classificazioni del movimento

La motricità riflessa
Dall' ambiente l'uomo riceve innumerevoli stimoli sensoriali ai quali deve adattarsi rispondendo attraverso il proprio corpo con l'assunzione di posture o atteggiamenti o con l'esecuzione di movimenti. Ogni risposta di adattamento che avviene senza il controllo della coscienza o senza l'intervento della volontà prende il nome di azione riflessa. La motricità riflessa utilizza un circuito neurologico di controllo a livello spinale: quando si percepisce uno stimolo sensoriale, l'impulso nervoso, attraverso una fibra, raggiunge il nevrasse e qui si trasmette, attraverso la sinapsi, ad un'altra cellula nervosa, la quale a sua volta lo porta di nuovo alla periferia. Si potrà avere cosi, un'azione riflessa quando l'impulso percorre almeno due neuroni, uno che dalla periferia lo porta al SNC, e l'altro che dal SNC lo riporta alla periferia. Questo sistema di neuroni è chiamato arco riflesso, e rappresenta la base anatomica dell'azione riflessa. A seconda della loro complessità i riflessi si possono distinguere in monosinaptici (una sola sinapsi), polisinaptici (numerose sinapsi), propriocettivi (causati da efferenze interne), esterocettivi (causati da efferenze esterne), enterocettivi ( causati da afferenze della muscolatura liscia), e nocicettivi (quando  l'impulso attivante è dolorifico). 

La motricità volontaria 
La motricità volontaria comprende tutti quegli atti motori che, oltre ad essere voluti intenzionalmente, richiedono all'uomo un certo grado di attenzione, cura e controllo. Vengono eseguiti con l'intenzione di raggiungere un fine programmato e si manifestano prevalentemente nelle situazioni di apprendimento motorio. Ogni movimento volontario per essere realizzato deve essere il frutto di una elaborazione mentale che conduce alla rappresentazione del movimento la quale precede l'esecuzione dello stesso. Affinché questo processo avvenga, sono necessari tre momenti :
- Raccolta delle informazioni dall'ambiente, dalla superficie e dall'interno del corpo rese possibili dalla funzionalità degli analizzatori sensoriali;
- Elaborazione mentale delle informazioni e integrazione delle stesse con quelle già presenti nella memoria cinestesica;
- Fase esecutiva vera e propria del movimento che avviene quando, stabilito il programma, gli impulsi nervosi vengono trasmessi dai centri corticali alla muscolatura del nostro corpo.

La motricità automatizzata 
Il movimento umano si compone anche di quei gesti automatizzati, espressioni dello apprendimento di abitudini o abilità motorie e sportive. Altro non sono che il risultato della trasformazione di precedenti movimenti volontari e controllati che, grazie alla ripetizione ed alla riuscita del processo di apprendimento motorio, si automatizzano diventando familiari, economici e precisi. Questa forma di controllo del movimento è quella che ci permette di svolgere compiti usuali o gesti sportivi senza prestare attenzione eccessiva, come camminare mentre si legge il giornale, eseguire un esercizio combinato da più difficoltà nella ginnastica artistica. A differenza dell'azione volontaria, quella automatizzata presenta le seguenti caratteristiche :
- Può essere molto veloce;
- Richiede bassi livelli di attenzione;
- Consente il controllo agevole di più compiti o movimenti anche in competizione tra loro;
- E' più economica dal punto di vista energetico;
- Consente l'esecuzione agevole di gesti motori complessi come i gesti sportivi.

Fonti: Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano, F. Casolo
Fonte immagine: smarter-city.liquida.it

venerdì 5 aprile 2013

Diabete mellito di tipo 2 e attività motoria

Diabete mellito di tipo 2

Il diabete mellito di tipo 2 è una patologia che generalmente insorge dopo i 40 anni, e non mostra, almeno in un primo tempo, carenza assoluta di insulina, ma solo relativa. La concentrazione plasmatica dell'ormone, anzi, è spesso superiore alla norma, mai tessuti bersaglio offrono una resistenza patologica alla sua azione. Questi soggetti  non sono legati strettamente alla somministrazione esogena di insulina, anche se possono averne bisogno per un buon controllo metabolico: il diabete di tipo 2 è anche detto, perciò, non insulino- dipendente. La carenza relativa di insulina determina iperglicemia e glicosuria, ma la presenza di insulina in circolo impedisce che si arrivi alla chetoacidosi, anche in presenza di concentrazioni plasmatiche di glucosio molto elevate. L'intesa glicosuria che accompagna una forte iperglicemia provoca disidratazione. Inoltre, gli acidi grassi liberati dal tessuto adiposo anch'esso resistente all'azione dell'insulina, giungono al fegato, dove vengono utilizzati per produrre un'eccessiva quantità di trigliceridi, immessi nel plasma come lipoproteine a bassissima densità VLDL. All'accresciuta produzione di VLDL si aggiunge il loro diminuito catabolismo, per la ridotta attività dell'enzima che dovrebbe idrolizzarle, la lipoprotein lipasi: ne risulta una dislipidemia, nella quale all'aumento delle VLDL si associa la riduzione del colesterolo veicolato delle lipoproteine ad alta densità HDL. 

Diabete mellito di tipo 2 ed attività motoria 
Nel diabetico di tipo 2 l'esercizio fisico regolare apporta numerosi benefici al punto tale da essere considerato parte integrante del programma terapeutico del soggetto, insieme alla terapia dietetica e farmacologica. Il beneficio primario indotto dall'esercizio fisico è dato dal miglioramento della sensibilità da parte dei tessuti periferici all'azione dell'insulina. E' consigliabile lo svolgimento di attività aerobiche che implicano lo svolgimento di contrazioni submassimali ripetitive di grandi gruppi muscolari, quali quelle che vengono effettuate nel nuoto, nel cammino a passo svelto, nella corsa e nel ciclismo. Il carico dell'esercizio suggerito è un carico inferiore del 10-15% a quello di soggetti non diabetici di pari età. E' bene che l'esercizio non superi mai il 60% del VO2max e che comporti un dispendio di 500-1000 kcal superiore ai livelli di base, con sessioni di esercizio della durata di 15-20 minuti con intervalli di riposo regolare di 2 minuti.

Fonti: Medicina dello Sport, L. Aldo Ferrara
Fonti Immagini: salute.doctissimo.it


giovedì 4 aprile 2013

Diabete mellito di tipo 1 e attività motoria


Diabete mellito
L'espressione 'diabete mellito' non si riferisce ad una singola condizione morbosa, ma ad un gruppo di malattie la cui caratteristica comune più evidente è l'elaborazione del metabolismo del glucosio. Il termine diabete deriva dal verbo greco διαβαίνειν che vuol dire 'passo attraverso', ed indica il 'passaggio di qualcosa nell' urina; l'aggettivo mellito, dal latino mel (miele), precisa che a passare nell'urina è il glucosio. Il diabete mellito è una condizione clinica molto diffusa, e possiamo distinguerne due forme: diabete di tipo 1, che sarà analizzato in questo articolo, e diabete di tipo 2.

Diabete mellito di tipo 1 
Nel diabete di tipo 1, detto anche giovanile a motivo dell'età di insorgenza (prima dei 30 anni), la produzione di insulina da parte delle cellule del pancreas endocrino è progressivamente compromessa, fino ad essere pressocché annullata. Occorre in questo caso, somministrare l'ormone dall'esterno per evitare l'instaurarsi di un grave squilibrio metabolico. Nella grande maggioranza dei casi, i pazienti con diabete mellito di tipo 1 presentano nel siero auto-anticorpi, diretti contro vari bersagli delle cellule delle isole pancreatiche. E’ stato ipotizzato che alcuni virus (forse quello della rosolia) possano intervenire all’inizio della malattia, ledendo le cellule di ospiti suscettibili in maniera tale da esporre particolari antigeni, che innescherebbero poi la reazione autoimmune. Nel diabete di tipo 1 a causa della carenza d’insulina, che progredisce fino a divenire pressoché totale, il glucosio entra con difficoltà nelle cellule che costituiscono il bersaglio metabolico dell’ormone, in particolare in quelle muscolari e si accumula nel plasma. La carenza di insulina si verifica anche a livello epatico, dove vengono attivate la gluconeogenesi (cioè la produzione di nuovo glucosio) e la glicogenolisi (cioè la scomposizione del glicogeno in glucosio). Il glucosio prodotto dal fegato, viene riversato nel sangue, aggravando l’iperglicemia. Cosi viene superata la soglia renale del riassorbimento del glucosio, ovvero il valore glicemico ( circa 180 mg/dl) oltre i quali i tubuli renali non riescono a riassorbire tutto il glucosio filtrato attraverso la membrana glomerulare. Si ha quindi glicosuria. Il glucosio presente nell’urina trattiene acqua per osmosi e provoca poliuria accompagnata da polidipsia (aumento del senso della sete) e polifagia ( aumento del senso della fame).

Diabete mellito di tipo 1 ed attività motoria 
L'insulina incrementa il metabolismo muscolare del glucosio favorendo il suo ingresso nell'interno della cellula muscolare. Pertanto in un soggetto che svolge attività fisica, l'insulina inibisce la produzione epatica dei corpi chetonici che si verificherebbe nel corso dell'esercizio fisico per aumento della secrezione degli ormoni controregolatori ( soprattutto glucagone e catecolamine). E' importante dedicare grande attenzione al giusto dosaggio di insulina, in modo tale che questo sia sufficiente ad evitare uno scompenso metabolico acuto, che si potrebbe verificare per azione non bilanciata degli ormoni controregolatori con iperglicemia e chetoacidosi, sia ad evitare un'ipoglicemia indotta da eccesso di insulina somministrata. Un corretto programma di allenamento del soggetto diabetico di tipo 1 suggerisce di farlo esercitare nel periodo di condizionamento (8-12 settimane) ad una frequenza cardiaca pari al 60-70% della riserva di frequenza massima prevista. Successivamente si consiglia l’esercizio massimale per 20-30 minuti tre, quattro volte a settimana. Consideriamo l’esempio di un diabetico di tipo 1 di 40 anni con frequenza basale di 70 battiti al minuto :
la frequenza massimale per età è: 220-40 = 180 battiti/min;
la riserva di frequenza massima prevista è :180-70= 110 battiti/min;
il 60% della riserva di frequenza massima prevista è = 66 battiti/min; il 70%= 77 battiti/min. Dunque è consigliabile far esercitare questo soggetto nella fase di condizionamento ad una frequenza compresa tra 136 e 147 battiti/minuto.
Le linee guida della American Diabetes Association e dell' American College of Sport Medicine raccomandano:
1. Controllo metabolico prima dell'esercizio
Tendenza all'iperglicemia: Evitare l'esercizio se i livelli glicemici a digiuno sono > 250 mg/dl ed è presente chetonuria.
Tendenza all'ipoglicemia: Ingerire un extra di CHO se i livelli glicemici a digiuno risultano <100 mg/dl.
2. Monitoraggio glicemico prima e dopo l'esercizio
Imparare ad identificare il momento in cui diventa necessario modificare il dosaggio insulinico o il consumo di cibo.
Imparare ad indentificare come varia la risposta glicemica in rapporto al tipo e all'intensità dell'esercizio fisico.
3. Consumo di cibo
Imparare a riconoscere la quantità necessaria di CHO per prevenire l'ipoglicemia.
Abituarsi a tenere con se alimenti ricchi in CHO facilmente utilizzabili sia durante sia dopo l'esercizio.



Fonti: Medicina dello Sport, L. Aldo Ferrara
Fonti Immagini: www.fabrizioangelini.it

martedì 2 aprile 2013

I test motori

Il protocollo è la specifica procedura che si sceglie per testare una determinata qualità. Le caratteristiche del protocollo sono :
a) L’indicazione dei tempi
b) L’indicazione dei modi
c) La sua rigidità esecutiva
d) la sua comprensibilità
Il protocollo deve essere esauriente e non dare adito a false interpretazioni.
Il protocollo comprende : 
•Ordine metabolico dei vari test;
• Suddivisione in più giornate dei test
• Valutazione dei tempi di effettuazione dei vari test
• Indicazioni alimentari agli atleti che dovranno effettuare i test (non sulle qualità dei cibi, ma sulla lontananza dei pasti)
• Indicazioni sugli scarichi dell’allenamento prima di effettuare i test
• Indicazioni sull’abbigliamento per effettuare i test
• Indicazioni nei riguardi dell’attrezzatura per  effettuare il test 
• La preparazione degli strumenti: la calibrazione.
Al momento del test , dal punto di vista fisiologico, è prevista una fase di
riscaldamento a carattere generale e successivamente a carattere specifico; dal punto di vista psicologico, il soggetto deve essere motivato ad offrire una prestazione adeguata alle proprie possibilità; si consiglia pertanto di avvertirlo del risultato ottenuto. I test motori vengono suddivisi in diretti,  indiretti , massimali e sub massimali. Si definiscono diretti tutti quei test che misurano per quanto possibile una grandezza senza nessuna interpolazione di tipo matematico, strumentale, statistico,chimica, temporale, ecc..
Esempi  sono:
• Biopsia muscolare (BM),
• Risonanza magnetica (RM),
• Elettromiografia (EMG)
• Metabolici ematici
• Lattatemia
• Analisi dei gas respiratori (metabolimetria)
Sono definiti indiretti tutti quei test che misurano una grandezza attraverso l’individuazione di uno o più indicatori attraverso un’interpolazione matematica,trumentale, statistica, chimica, temporale, articolare, ecc…
Alcuni esempi sono:
• Forza massimale dinamica (1RM o 6 RM),
• Forza massimale isometrica: dinamometria isometrica
• Forza esplosiva: Squat Jump, AbalaKov
• Forza resistente: test di Bosco a 15, 30, 45, 60 secondi
• Test di Conconi, per la determinazione della soglia anaerobica
Per test massimali si intendono tutti quei test che portano l’atleta al massimo grado di affaticamento (esaurimento). Un test massimale per essere tale deve prevedere la massima assimilazione tecnica onde evitare dispersioni di energia.
 Per test sub-massimali si intendono tutti quei test che portano l’atleta ad un grado di affaticamento stimabile intorno all’80-85%  della sua possibilità massimale e attraverso un calcolo indiretto ci permettono di risalire al massimo rendimento teorico.
I test motori vengono classificati in test da campo e in test da laboratorio .
I test da campo sono  prove scientificamente fondate per la valutazione dell’individuo nella performance specifica (spesso sono esercizi,parti della gara, o la gara stessa)
I test da laboratorio sono momenti di valutazione puntuale di una caratteristica, ma non della prestazione specifica.
L’insieme di più test collegati tra loro si definisce Batteria di test, che può essere:
Omogenea, con l’obiettivo di misurare una sola capacità, per cui richiede che i test siano strettamente correlati;
Eterogenea, cerca di fornire una valutazione di caratteristiche motorie diverse, anche non strettamente collegate tra loro.
A seconda del protocollo , i test possono essere divisi in rettangolare , triangolare e trapezoidale.

RETTANGOLARE : si incrementa il carico livello dopo livello , procedendo per livelli di intensità costante , di difficoltà progressivamente crescente , intervallati da pause di recupero. E' un tipo di test faticoso che richiede molto tempo e in cui il valore finale è quello precedente all'interruzione.
TRIANGOLARE : si incrementa il carico senza pause tra un incremento e l'altro. Solitamente si eseguono rilievi funzionali e cardiologici negli ultimi 30" dello step ( se lungo ) e nel recupero. E' il tipo di test più utilizzato.
TRAPEZOIDALE : come il precedente , con l'unica differenza che si parte da un livello prestabilito in base alle caratteristiche del soggetto.

La batteria dei test comprende :
DIAGNOSI DELLA PRESTAZIONE
Consiste in un accertamento del livello delle diverse capacità motorie.
DIAGNOSI DELLO SVILUPPO
Consiste in una valutazione in rilevamenti successivi,ottenendo una curva dello sviluppo motorio individuale, adeguatamente confrontata con i parametri di riferimentodi soggetti di pari età e sesso (percentili).
CONTROLLO DELL’ALLENAMENTO
Utilizzo di parametri di valutazione come mezzo di controllo del processo di allenamento programmato dai tecnici sportivi e di insegnamento–apprendimento da parte degli insegnanti.
PROGNOSI
Consiste nell’utilizzo di metodiche scientifiche al fine di poter effettuare una previsione dei futuri livelli di prestazione. Secondo Harre “il giovane di talento raggiunge un considerevole livello di prestazione, migliora con notevole rapidità ed è in grado di manifestare una spiccata stabilità di prestazione e di rapidità“

Fonte : Dal Monte A., Faina M. Valutazione dell’atleta. UTET, Torino
www.my-personaltrainer.it
Fonte immagini : www.teamlampremerida.com

lunedì 25 marzo 2013

Cosa è la valutazione motoria


La valutazione motoria si propone di valutare e fornire indicazioni relative allo stato e all' evoluzione dei fattori organico-funzionali,coordinativi , anagrafici e antropometrici del soggetto. L’obiettivo della valutazione è di acquisire dati ed informazioni che permettono di verificare il livello di partenza di una determinata capacità motoria ( forza , resistenza, velocità , flessibilità , grasso corporeo , morfologia ) e l’efficacia dell’allenamento .Il test è una procedura in condizioni standardizzate e controllate che  permette la misura in termini quantitativi  o qualitativi di una capacità motoria.Il test non necessariamente richiede l’utilizzo di strumenti sofisticati e molto costosi , senza che per questo venga sminuita la validità.Il test serve per  avere delle informazioni precise , monitorare l’andamento di una capacità fisica , pianificare un allenamento e verificare l’efficacia dei programmi di allenamento. Il test, inoltre ,evidenzia i progressi dello stesso soggetto nel tempo (analisi longitudinale) e valuta l’appartenenza di un soggetto ad una determinata classe di rendimento, mediante il confronto dei dati con la casistica disponibile (analisi trasversale). Le fasi di una valutazione sono :  scelta dei test più appropriati allo scopo mirato;rilevamento ed analisi dei dati;controllo attraverso i dati rilevati della situazione attuale;progettazione dell’allenamento futuro o correzione dell’allenamento effettuato; verifica dell’allenamento effettuato. Le caratteristiche di un test sono : oggettività , attendibilità , riproducibilità e  validità . L’oggettività è  indice del come  viene applicato e interpretato il test, da più osservatori o dallo stesso osservatore, in periodi diversi. Un test dovrebbe garantire lo stesso risultato indipendentemente dal tecnico che se ne serve. L’attendibilità è la costanza e precisione della misurazione e l’affidabilità dello strumento. La  riproducibilità è la concordanza tra misure ripetute dello stesso fenomeno. La validità è la corrispondenza con l’obiettivo della misurazione; è inoltre  la concordanza tra modello di prestazione e l’indicatore scelto per rappresentare la capacità indagata . Quindi  un test deve realmente misurare quello che ci si propone di misurare.

Fonte : Dal Monte A., Faina M. Valutazione dell’atleta. UTET, Torino
Fonte immagine : http://www.centrounique.it

mercoledì 20 marzo 2013

La triade femminile dell'atleta


La partecipazione delle donne nello sport è notevolmente aumentata nelle ultime decadi (NCAA, 2003). Indubbiamente il praticare attività fisica ha, per le donne, numerosi effetti benefici, incluso un miglioramento dell’immagine corporea, dell’autostima e della salute in generale (Smolak et al., 2000). Ma, quando lo sport diventa competitivo, non si è sempre in presenza di un buono stato di salute. In alcuni casi, i cambiamenti fisiologici e gli stress nutrizionali generati da un esercizio fisico strenuo possono portare gli atleti al limite tra il benessere e il danno fisico (Lukaski, 2004). Inoltre, la pressione a mantenere un basso peso corporeo, tipica di molti sport ad alto livello, può essere tale da portare un atleta più vulnerabile a sviluppare un’alimentazione disturbata, che compromette la performance sportiva e la salute fisica (Panza et al., 2007). L’alimentazione disturbata, insieme all’amenorrea e alla demineralizzazione ossea sono state considerate manifestazioni cliniche di una più complessa sindrome associata allo sport e definita “triade femminile dell’atleta” (Khan et al., 2002; Nattiv et al., 2007). L’American College of Sports Medicine (2007) descrive la triade dell’atleta donna come un complesso insieme di interazione tra disponibilità energetica, stato mestruale e densità mineraria ossea, ognuna delle quali si presenta lungo un continuum tra la salute e la patologia.
Le componenti della triade femminile dell’ atleta 


1.Disponibilità energetica
La disponibilità energetica, risultante dalla dieta, è un fattore molto importante per le prestazioni sportive. Sono stati individuati alcuni disturbi dell’alimentazione, che assieme ai disturbi del ciclo mestruale e alla fragilità ossea, danno luogo alla triade. I disturbi alimentari, come la bulimia nervosa o l’anoressia nervosa,  generalmente derivano da uno stato di sofferenza psichica. Un'alimentazione disordinata porta ad un inadeguato quantitativo di energie disponibili, di conseguenza il corpo dell’atleta, percepisce lo stato di carenza energetica e blocca il sistema riproduttivo, a partire dalla limitazione della produzione degli estrogeni, i principali ormoni che consentono di mantenere un' adeguata massa ossea. Dunque, nel momento in cui le energie disponibili sono insufficienti, il corpo umano è un grado di attivare sistemi di controllo capaci di bloccare il funzionamento di determinati meccanismi fisiologici.
2. Stato mestruale
E’ stato dimostrato che i disturbi legati al ciclo mestruale sono più frequenti nelle atlete che nella popolazione generale. Tali disturbi possono essere:
- Deficit luteale. E’ la scarsa produzione di progesterone durante la fase luteale.
- Anovulazione. Mancanza di ovulazione.
- Oligomenorrea. Cicli interrotti da 35 giorni, o più.
- Amenorrea. Assenza del ciclo mestruale per 3 mesi consecutivi.
3. Densità minerale ossea
Sia gli uomini che le donne, vanno incontro a una perdita fisiologica di tessuto osseo, ma le atlete possono presentare un tasso di perdita ossea maggiore, con percentuali dal 2% al 6% per anno con picchi che raggiungono il 25% della massa totale ossea. Dunque,  un’ attività fisica esasperata agonistica in giovani donne può comportare alterazioni ormonali e nutrizionali che potrebbero essere altrettanto deleterie per l’osso. 
Conseguenze della triade femminile dell’atleta sulla salute
Lunghi periodi di bassa disponibilità energetica, possono compromettere la salute fisica ed emotiva dell’atleta. Le conseguenze mediche secondarie alla triade femminile dell’atleta sono principalmente di natura cardiovascolare (disfunzione endoteliale), endocrina, riproduttiva, gastrointestinale, renale e neurologica (sistema nervoso centrale). In diversi studi sono stati discussi gli effetti negativi di una rapida perdita di peso e gli effetti di lunghi periodi di restrizione alimentare calorica sulla crescita, sulla prestazione sportiva, sulla funzione cognitiva e sulla salute. Sono stati descritti anche effetti sulla funzione del sistema immunitario, ma le maggiori conseguenze mediche della triade sull’atleta riguardano le fratture ossee legate all’osteoporosi. L’irregolarità mestruale, l’età, la densità minerale ossea, l’etnia, l’intensità dell’allenamento, il fumo e l’alcool sono tutti fattori associati a un aumentato il rischio di fratture ossee (Manore et al., 2007). Ancora poco è conosciuto l’effetto dell’irregolarità mestruale sulla funzionalità muscolo-scheletrica e sulla forza (Rickenlund et al., 2005a; Rickenlund, et al., 2005b).
 Discipline sportive potenzialmente rischiose per la triade femminile dell’atleta
  1. Sport in cui è valutata la prestazione individuale (es. la danza, il pattinaggio artistico e la ginnastica artistica).
  2. Sport di resistenza che favoriscono partecipanti con un basso peso corporeo (es. le corse di lunga distanza, il ciclismo, e lo sci di fondo).
  3. Sport il cui l’abbigliamento per la competizione rivela la forma del corpo (es. la pallavolo, il nuoto, i tuffi e la corsa).
  4. Sport che usano le categorie di peso per la partecipazione (es, la corsa cavalli, le arti marziali e la lotta).
  5. Sport in cui una forma corporea pre-puberale favorisce il successo (il pattinaggio artistico, la ginnastica artistica e i tuffi).
 Indicazioni per il trattamento della triade femminile dell’atleta 
In generale, il miglioramento complessivo della disponibilità energetica dell’atleta può essere la chiave per affrontare i problemi mestruali e la bassa densità minerale ossea nelle atlete. Studi case-series indicano che le atlete quando costrette al riposo per infortunio o quando smettono di fare sport migliorano lo stato mestruale e la densità minerale ossea. Il problema è che molte atlete non vogliono interrompere l’allenamento o recuperare troppo peso per ripristinare il normale stato mestruale. Per tale motivo è necessario un piano d’intervento che migliori il bilancio energetico aumentando la quantità di energia introdotta o riducendo la spesa energetica dovuta all’attività fisica (es. inserendo un giorno di riposo al loro piano di allenamento) oppure entrambi, senza determinare drastici cambiamenti nel peso. Aumentare la quantità di energia totale giornaliera disponibile con moderati cambiamenti dell’alimentazione può essere l’approccio più facile, anche se nessuno studio ne ha definitivamente dimostrato l’efficacia, e non sia chiaro su quali atleti potrebbe avere effetti benefici e quanto tempo servirà perché si verifichino i cambiamenti nella funzione mestruale e nelle densità minerale ossea (Drinkwater et al., 2005). Solo due studi pilota hanno affrontato questi aspetti (Dueck et al., 1996; Kopp-Woodroffe et al., 1999), mostrando che il miglioramento del bilancio energetico e della disponibilità energetica nelle atlete con amenorrea determinava il recupero del ciclo mestruale, con un modesto recupero ponderale (1,0 -2,7 kg). Per le atlete che recuperavano il ciclo mestruale, la densità minerale ossea migliorava significativamente a livello del collo femorale e della colonna lombare, mentre la cortisolemia diminuiva del 33% e gli ormoni riproduttivi aumentavano. I partecipanti nei loro resoconti riportavano un miglioramento complessivo della vitalità, della concentrazione mentale e dello stato emotivo. Diversi studi hanno valutato la terapia con contraccettivi orali o con estrogeni come metodo per il miglioramento delle disfunzioni mestruali e della densità minerale ossea. Una revisione sistematica che ha incluso nove studi con donne con amenorrea ipotalamica funzionale associata all’esercizio fisico trattate con contraccettivi orali o con estrogeni ha evidenziato qualche miglioramento nella densità minerale ossea, ma il trattamento non determinava un recupero della massa ossea rispetto ai controlli confrontati per età (Vescovi et al., 2008). Un altro recente studio eseguito su 150 fondiste competitive tra i 18 e i 26 anni assegnate a random a una condizione di trattamento con contraccettivi orali o a una di controllo per 2 anni, ha evidenziato che l’assunzione di contraccettivi orali non influenzava significativamente l’incidenza di fratture sia nelle fondiste oligomenorroiche, sia in quelle amenorroiche sia in quelle con un ciclo regolare (Cobb et al., 2007). Dal punto di vista psicologico, la terapia con contraccettivi orali determina un falso senso di sicurezza sia per il professionista che ha in carico il paziente sia per il paziente stesso. Infatti, il ritorno del ciclo mestruale con i contraccettivi orali non indica che il paziente ha recuperato dal suo deficit nutrizionale dato che questo trattamento maschera l’amenorrea e l’eventuale psicopatologia sottostante. Per questo motivo il trattamento con contraccettivi orali dovrebbe essere interrotto nei pazienti che sono complianti con la terapia. Nel caso in cui sia accertata la presenza di un’alimentazione disturbata, l’atleta dovrebbe avere come riferimento un nutrizionista dello sport che faccia una valutazione nutrizionale, una pianificazione dei pasti e che si concentri sugli aspetti educativi per aiutare l’atleta a comprendere le necessità dell’alimentazione per un buono stato di salute e una prestazione ottimale. Se l’atleta non fosse in grado o motivato a seguire le indicazioni del nutrizionista e/o del medico dovrebbe essere valutata la presenza di un disturbo dell’alimentazione ed eventualmente essere inviato a un’equipe multidisciplinare con esperienza nel trattamento di tali disturbi. In questi casi, la decisione di continuare l’allenamento e la competizione dovrà essere presa in base al caso singolo. 

Fonti: Alimentazione nello sport,  William D. McArdle, Frank I. Katch, Victor L. Katch, www.nutrizionistaaroma.it
Fonti immagine : www.my-personaltrainer.it


lunedì 18 marzo 2013

La creatina

La creatina :Cenni storici 
La creatina fu scoperta nel 1832 dallo scienziato francese Chevreul.Egli  trovò tracce di creatina nella carne e diede il nome di creatina ispirandosi al nome greco della carne. Nel 1923 venne scoperto che il corpo umano contiene circa 100 grammi di creatina , di cui il 95% viene immagazzinata nel tessuto muscolare e il 5% nel muscolo cardiaco , nello sperma e nel tessuto neurale. Alcuni studi del 1926 affermarono che la creatina facilitava l’aumento del peso e la ritenzione dell’azoto .Nel 1993 fu introdotto come aiuto ergogenico.
Cosa è la creatina e quale è la sua funzione 

La creatina è una sostanza formata dagli amminoacidi arginina , metanina e glicina. E’ prodotta nel fegato anche se può essere prodotta dal pancreas e dai reni. Dopo ciò viene trasportata nel flusso ematico per poi essere assorbita dalle cellule muscolari dove viene trasformata in creatin – fosfato ( o fosfocreatina ) e immagazzinata finchè non venga utilizzata per la produzione di energia chimica, l’adenosin – trifosfato (ATP). In caso di deficit di ATP , le prestazioni muscolari sarebbero drasticamente ostacolate. Quando l’ATP è esaurito , la fosfocreatina viene utilizzata per rigenerarlo . L’aumento di fosfocreatina incrementa  livelli di ATP che possono essere generati e l’aumento di ATP porta a un incremento di forza e velocità. Quindi per aumentare l’ATP , e di conseguenza la forza , basta incrementare la fosfocreatina . Il metodo più semplice per aumentare le riserve di fosfocreatina è la supplementazione di creatina monoidrata. Studi clinici  hanno dimostrato che l’incremento delle riserve di creatina tramite la supplementazione può aumentare la perfomance per quanto riguarda gli sforzi ad alta intensità e di breve durata. In tal modo , sarà possibile allenare ad una maggiore stimolando maggiormente la crescita. Altra funzione della creatina è quella di tampone. Infatti combatte gli effetti negativi dell’acido lattico ( o lattato) , sostanza che si forma in alcuni tipi di prestazioni sportive.
Studi scientifici
La maggior parte delle ricerche dimostrano un aumento delle prestazioni nella forza di 1 RM ( ripetizione massimale ) e un miglioramento nella contrazione muscolare  sotto massimo sforzo. E’ stato riscontrato , inoltre , un aumento del 34% delle fibre muscolare di tipo II . Non è stato riscontrato nessun effetto per quanto riguarda le fibre muscolari di tipo I. Nel breve termine , l’aumento di peso corporeo potrebbe variare da 0.7 a 1.6 Kg. Non si comprende se questo aumento sia dovuto ad una ritenzione delle cellule  muscolari o ad un aumento della sintesi proteica. Sembra che la creatina , inoltre , riduca il catabolismo muscolare decrementando l’uso dei BCCA ( amminoacidi a catena ramificata) a scopo energetico. Nel lungo termine , l’aumento del peso potrebbe variare da 0.8 a 3 Kg ma molto dipende dalla durata e dall’ammontare dell’assunzione di creatina. Anche in questo caso , non si capisce se la causa sia un aumento di sintesi proteica o delle prestazioni dell’allenamento.
Perché la creatina funziona
Gli effetti positivi della creatina sulla perfomance derivano dalla sua capacità di liberare energia nei momenti di massima richiesta metabolica. La creatina, infatti , è un precursore per la formazione di ATP , principale forma di energia utilizzata dalle cellule. La creatina viene convertita nell’organismo a fosfocreatina ( circa il 70% all’interno del muscolo) acquistando un atomo di fosforo. Durante la contrazione muscolare , l’ATP si trasforma in ADP liberando un radicale fosforico che fornisce energia. A questo punto aggiungendo un atomo di fosforo all’ADP è possibile risintetizzare ATP  rifornendo nuova energia alle cellule. Durante uno sforzo particolarmente intenso, la fosfocreatina assolve proprio a tale funzione , liberando il suo atomo di fosforo e riformando ATP a partire da ADP. Questo meccanismo energetico è importantissimo durante il passaggio da una condizione di riposo o di sforzo moderato ad una condizione di massima richiesta energetica ( ad esempio durante uno scatto , quando si solleva un carico importante o durante la volata finale ). La fosfocreatina rappresenta un pool di riserva energetica rapidamente utilizzabile per ripristinare il contenuto muscolare di ATP. La creatina è particolarmente efficace per scatti o sforzi massimali o sub – massimali (dai 2 ai 30 secondi). I suoi effetti sono nulli per sport di lunga durata come triathlon o la maratona. 
Fonti di creatina
Le riserve endogene del corpo forniscono il 50% della creatina giornaliera , cioè circa 1 grammo , mentre le fonti esogene ( carne rossa , pesce ,….) forniscono il restante 50% . Il corpo  contiene al massimo 4 – 6 grammi di creatina /Kg , ne perde il 6% al giorno( circa 2 grammi). Un chilo di manzo o di salmone contiene circa 4 grammi di creatina ; un chilo di aringhe contiene 6 grammi di creatina .La quantità di creatina muscolare è molto variabile tra gli individui . Mediamente un uomo metabolizza 2 grammi/die  di creatina . L’eccesso di creatina viene espulso con l’urina.
Fasi di assunzione 
Il Ministero della Sanità ha stabilito il limite di sicurezza di 3 grammi giornalieri. Ricerche scientifiche hanno dimostrato che , per ottenere prestazioni ottimali , i dosaggi dovrebbero dividersi in 2 fasi : a) fase di carico ; b) fase di mantenimento.Ciò vuol dire :
- Fase di carico : 5 giorni , 5 grammi , 5 volte al giorno
- Fase di mantenimento : da 6 a 8 settimane 5 grammi , 2 volte al giorno.
Durante la fase di carico l’obiettivo è saturare il sistema con tanta creatina quanto il corpo ne possa immagazzinare. Nella fase di mantenimento l’obbiettivo è di mantenere la saturazione in modo da sostituire ogni consumo di creatina indotto dall’esercizio. Uno di questi dosaggi dovrebbe essere assunto 30-60 minuti prima del workout per assicurare la disponibilità della creatina durante l’allenamento. Un altro di questi dosaggi dovrebbe essere assunto immediatamente dopo il workout. I muscoli sono affamati di sostanze nutritive dopo uno sforzo. L’assorbimento della creatina all’interno del flusso ematico entro 30 minuti dopo il workout potrebbe facilitare il recupero muscolare. Gli atleti sotto i 100 Kg dovrebbero usare 5 x 5 gm di CM ( creatina monoidrata) durante la fase di carico e 2 x 5 gm durante la fase di mantenimento. Mentre quelli sopra i 100 Kg dovrebbero usare 6 x 5 gm di CM durante la fase di carico e 2-3 x 5 gm durante la fase di mantenimento. Gli atleti che pesano sotto gli 80 Kg dovrebbero assumere poco meno dei dosaggi raccomandati. Devono essere mantenuti sufficienti livelli di idratazione per un ottimo assorbimento della CM. Sono consigliati almeno 3 litri di acqua giornalieri , oltre ad ulteriori 500 gm di acqua ogni Kg di peso perduto durante l’allenamento. Gli effetti positivi della saturazione di creatina possono rimanere nel corpo per 2 mesi dopo la cessata assunzione. La creatina non dovrebbe essere sciolta nei liquidi bollenti perché ciò causerebbe un cambiamento nella struttura chimica delle molecole del monoidrato. Il succo di arancia contiene degli acidi che denaturano la CM trasformandola in un prodotto di scarto. Non assumere la creatina col succo di arancia . La caffeina disidrata il corpo , espellendo l’acqua , negando l’effetto volumizzante della creatina sulle cellule. 
Trasporto 
Per aumentare l’assorbimento da parte dei muscoli della creatina , alcuni studi hanno dimostrato che dovrebbe essere assunta con succo d’uva o con una bevanda ad alto indice glicemico ricca di carboidrati semplici , in modo da incrementare la secrezione d’ insulina. Lo sbalzo di questo ormone aiuta a spingere la creatina all’interno delle cellule muscolari .
Effetti collaterali 
Sempre più frequentemente si riscontrano , per lo più tra i giovani , condotte di abuso o uso improprio di creatina. Sono comportamenti molto pericolosi in quanto nocivi in primo luogo per la propria salute.
DISIDRATAZIONE E RITENZIONE IDRICA : la creatina apparentemente provoca una sensazione di aumento delle masse muscolari grazie all’aumentata ritenzione idrica intracellulare a livello muscolare. In seguito all’utilizzo massiccio di creatina è quindi probabile un aumento del peso corporeo che risulta particolarmente deleterio per la prestazione sportiva durante gare di durata( circa 3’ in più sulla maratona per ogni Kg in eccesso).
DISTURBI GASTROINTESTINALI : se assunta a dosi elevate (superiori ai 20g/die) la creatina causa problemi gastrointestinali e diarrea ad alcuni individui ( causata dal surplus non assorbito di creatina) .
PROBLEMI RENALI : una funzione renale compromessa non è compatibile con l’utilizzo di creatina che è sconsigliata anche in condizioni di disidratazione severa e in concomitanza con l’uso di farmaci che possono compromettere o solamente impegnare seriamente la funzione renale.
CONTROINDICAZIONI
Uso di diuretici
Disidratazione
Allergia o ipersensibilità individuale alla creatina 
Deficit della funzione renale 
Conclusioni
La creatina migliora la perfomance atletica specialmente in occasioni di sforzi intensi ma di breve durata in circa il 70% dei soggetti. Si consiglia  di rivolgersi a un medico per accertarsi che non vi siano controindicazioni e di analizzare con spirito critico la propria situazione ; l’assunzione di creatina ha ben pochi effetti positivi se abbinata ad una dieta iperproteica e ad un’ attività fisica moderata.

Fonti 
www.fitnessa360.com
· http://www.sportmedicina.com/creatina.htm
· http://www.my-personaltrainer.it/creatina.htm
· http://emporio-fitness.it/dettaglio.php?ART=82
· http://www.vivailfitness.it/creati.htm
· http://www.benessere.com/fitness_e_sport/integrazione/creatina.html

Fonte immagine : www.netintegratori.itt