domenica 17 marzo 2013

L’attività motoria nella prevenzione dell’osteoporosi


In Italia, e nel mondo, un numero sempre crescente di soggetti è affetto da osteoporosi, ma la sua elevata prevalenza è sottovalutata, poiché tale patologia è spesso clinicamente silente finché non si manifesta la sua complicanza più importante, ovvero la frattura. Recentemente la Fondazione Internazionale per l’Osteoporosi (IOF), utilizzando come popolazione di riferimento quella del “National Health and Nutrition Examination Survey” (NHANES III), ha osservato che la prevalenza dell’osteoporosi aumenta drammaticamente con l’avanzare degli anni; per esempio, nelle donne, si passa da una prevalenza del 5% a 50 anni fino al 50% a 85 anni; mentre le proiezioni future stimano che nel 2020 circa 41 milioni di donne saranno osteoporotiche. In Italia, i dati raccolti dallo studio epidemiologico E.S.O.P.O. (Epidemiological Study On the Prevalence of Osteoporosis), del 2006 hanno fatto emergere che quasi 4.000.000 di donne sono affette da osteoporosi, e quindi a rischio di frattura, con una prevalenza di oltre il 40% al di sopra dei 60 anni. L’esercizio fisico regolare è riconosciuto come cardine dei programmi d’intervento nella gestione della “salute ossea”. Per tentare di ridurre l’impatto sanitario e sociale di una patologia per lo più asintomatica, progressiva e potenzialmente invalidante quale è l’osteoporosi, appare prioritario perseguire un approccio di promozione della salute e di sensibilizzazione della popolazione sui vantaggi collegati alla pratica regolare di attività fisica. L'osteoporosi è una malattia sistemica dell'apparato scheletrico caratterizzata da una bassa densità minerale ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Le ossa diventano quindi più fragili e sono esposte ad un maggior rischio di frattura per traumi anche minimi. Le fratture costituiscono l'evento clinico più rilevante dell'osteoporosi, anche perché interessano con maggiore frequenza il polso, le vertebre ed il femore. Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1990 si sono verificate circa 1.700.000 fratture di femore nel mondo; ne sono previste 6.300.000 per il 2050. Questi numeri pongono una sempre maggiore attenzione da parte delle organizzazioni sanitarie per identificare i soggetti a rischio e le terapie più appropriate, ma rendono anche necessaria una attenta partecipazione individuale soprattutto per quanto riguarda le attività di prevenzione. I principali interventi di prevenzione sono:
1) Assicurare adeguato apporto alimentare di calcio
2) Svolgere una regolare attività fisica
3) Correggere abitudini di vita dannose
4) Ridurre il rischio di cadute
Esiste ormai una specifica evidenza : chi pratica esercizio fisico a carico gravitazionale (esercizio in posizione eretta che impone il carico del peso del corpo) ha una massa ossea maggiore di un soggetto sedentario, e che l’aumento di massa ossea è specifico della sede scheletrica utilizzata nel movimento. Allo stesso tempo è stata dimostrata una perdita di massa ossea nel caso di riposo a letto e in assenza di gravità. L’osso è un tessuto dinamico a lento turnover. Il processo di osteosintesi, sia nella fase di crescita sia nelle età successive, durante le quali si verifica un continuo rimaneggiamento dell’osso, ha come principale meccanismo di controllo lo stimolo meccanico costituto dalle tensioni e dalle deformazioni applicate all’osso sia dal carico sia dalla contrazione muscolare. La riduzione della massa ossea che si determina con l’invecchiamento è dovuta in gran parte a una significativa perdita di attività delle cellule (osteoblasti) specificamente deputate alla formazione dell’osso. L’influenza della pratica regolare dell’esercizio fisico sul PMO (osteoporosi postmenopausale) è dimostrata: in uno studio sullo stile di vita e la densità ossea, l’attività fisica era il fattore maggiormente correlato con il contenuto minerale osseo. In generale nelle donne in premenopausa e in menopausa sono evidenziati livelli di densità minerale ossea più elevati quanto maggiore è il tempo da loro dedicato alla pratica di attività sportive di tipo ricreativo. In particolare, Grendale et al. hanno osservato valori di massa ossea, misurata a livello vertebrale e femorale, maggiori nelle donne che si dedicavano ad attività sportive di intensità più elevata, indipendentemente da età, stato ormonale, peso corporeo, apporti alimentari di calcio e abitudine al fumo di sigarette. Inoltre, gli esperti hanno potuto verificare un’analoga associazione con il grado di intensità di impegno fisico connesso con le attività domestiche; diversamente, non hanno osservato una correlazione con l’intensità dell’impegno fisico svolto durante l’attività lavorativa e nelle attività quotidiane abituali. Studi effettuati su atleti e atlete hanno confermato la maggiore efficacia di sport quali la ginnastica, gli sport di potenza, alcuni sport di squadra a elevato ritmo di gioco e nei quali sono necessarie doti di potenza e velocità (pallavolo, rugby, calcio, pallacanestro). Sono invece meno efficaci sul metabolismo osseo le discipline di resistenza e in particolare il nuoto, per effetto dell’assenza di contrasto della forza di gravità dovuto alla “spinta” di galleggiamento che si verifica nell’acqua. E’ dunque fondamentale iniziare un programma di prevenzione a partire dall’adolescenza, in modo da conseguire una crescita ossea ottimale che determinerà la salute scheletrica per il resto della propria vita, in modo da evitare o quantomeno ridurre al minimo le fratture ossee. Le fratture femorali, vertebrali e del polso rappresentano le più tipiche fratture osteoporotiche:
Frattura del femore: E’ la complicanza più importante dell’osteoporosi, poiché essa richiede nella quasi totalità dei casi l’ospedalizzazione. L’incidenza della frattura del femore aumenta in modo esponenziale con l’età in entrambi i sessi e nella maggior parte delle regioni del mondo. Questo aumento del rischio di frattura sembra essere correlato tanto alla fisiologica riduzione della densità minerale ossea, che si osserva con l’invecchiamento, quanto ad un aumento della tendenza a cadere tipico dell’età avanzata; infatti le cadute sono responsabili di almeno il 90% delle fratture femorali;
Frattura vertebrale: Solo un terzo delle fratture vertebrali sono clinicamente sintomatiche, e, una percentuale inferiore al 10% richiede l’ospedalizzazione. Soltanto in un quarto dei casi le fratture vertebrali conseguono ad una caduta; la maggior parte di esse infatti occorre in rapporto alle comuni attività della vita quotidiana. Una frattura vertebrale prevalente, anche morfometrica, aumenta il rischio di una nuova frattura vertebrale di almeno 4 volte, indipendentemente dalla massa ossea.
Frattura del polso: Sono le fratture più comuni nelle donne in epoca perimenopausale; infatti, la loro incidenza aumenta rapidamente subito dopo la menopausa, raggiungendo poi un plateau dopo i 65 anni di età. Nei maschi invece l’incidenza resta costante tra i 20 e gli 80 anni di età.
Nel caso di individui affetti da osteoporosi, l’esercizio fisico regolare svolge un ruolo ben più importante del già considerevole beneficio relativo all’aumento della massa ossea, in quanto è altresì capace di ridurre le manifestazioni dolorose delle patologie osteoarticolari tipiche delle età più avanzate, di migliorare l’equilibrio e l’abilità di movimento, soprattutto nei cambiamenti di postura, favorendo in tal modo una riduzione del rischio di cadute e di fratture e più in generale una migliore qualità della vita. In generale, il carico di lavoro prescritto nel programma di attività fisica deve essere graduale e incrementato progressivamente, praticato quante più volte possibile nella settimana, e ciascuna “seduta di allenamento” deve prevedere una fase iniziale di riscaldamento, una fase centrale di esercizio fisico più propriamente detto, e una fase finale di defaticamento. La fase di riscaldamento, che precede l’impegno fisico, deve prevedere una fase di lavoro “generale” inteso a preparare il corpo al lavoro più specifico delle fasi successive; una parte di questa fase va dedicata alla ginnastica di allungamento (stretching), che deve essere programmata nella parte iniziale e finale di ogni seduta per favorire la mobilità dei capi articolari e la distensione delle strutture muscolo-tendinee. La parte centrale della seduta di allenamento deve mirare all’incremento dell’efficienza e della capacità di lavoro dei grandi apparati, in particolare gli apparati cardiocircolatorio, respiratorio e muscolo-scheletrico, senza tralasciare la possibilità di favorire un incremento della massa muscolare attraverso l’utilizzo di piccoli attrezzi in grado di stimolare la forza muscolare. Il programma motorio, quindi, va iniziato con carichi e stimoli sottomassimali, ma comunque in grado (stimolo allenante) di indurre un aumento della frequenza cardiaca pari almeno al 50-60% del valore massimo teorico. E’ importante sottolineare che nei soggetti osteoporotici vanno evitati i carichi ad alto impatto, i movimenti improvvisi e/o esplosivi, la torsione e flessione del tronco e gli esercizi addominali dinamici. Affinché lo stimolo indotto dall’esercizio fisico sia osteogenico e rimodellante, il carico meccanico scheletrico deve essere:
• Superiore ad una soglia minima efficace, anche se un eccesso di sollecitazioni produce un osso con minore resistenza biomeccanica;
• Applicato in maniera dinamica intermittente, non statica;
• Applicato in compressione (forza di gravità) ed in trazione (contrazione muscolare);
• Eseguito ad alta velocità con numerose ripetizioni;
• Di breve durata, ma frequente con periodi di riposo tra le sessioni, per evitare la desensibilizzazio-ne del sistema di trasduzione meccanica dell’osso
al carico protratto;
• Sito-specifico: l’adattamento osseo alle sollecitazioni meccaniche è principalmente locale, per cui è opportuno allenare specificatamente le regioni scheletriche da rinforzare (ad es. i siti più esposti a fratture da osteoporosi: rachide, collo femore, polso).  

Fonti immagine : conoscereperdecidere.blogspot.com 

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